Vita Vivente di N. Moscardelli: allora mi ricordai... (3)

Publié le par antonio

Guerra 1914 soldati in trincea

 

Per coloro che non hanno letto gli episodi precedenti

Vita Vivente di N. Moscardelli : Allora mi ricordai.. (1)

Vita Vivente di N. Moscardelli: allora mi ricordai... (2)

 

                                                ***

    Un uomo sul Carso è più piccolo di un filo d'erba. La roccia spugnosa come lava ha il colore delle giubbe dei soldati: a guardarla dal piano è come un'onda di piombo pietrificata, che bisogna scalare. Per quanto si guardi e si scruti non si vede mai nessuno. Il silenzio deÌla morte lo circonda e l'imbeve: lo si guarda a lungo, gli occhi s'empiono di lagrime, chissa pcrchè. E mentre tremi come un bambino vedendo dove il destino t'ha portato e attraverso gli occhi velati tutto tentenna e sfuma, ecco una pallottola ti fìschia sul capo - perchè tu non vedi nessuno, altro che la roccia assetata, che quando piove diventa rossa come se rifiorisse tutto il sangue che s' bevuto, ma essa in ogni buco ha un occhio come una piovra mostruosa che ha fin quaggiù i tentacoli che tu calpesti senza vedere. Allora ti senti piccino come il pulcino quando il falco gli rotea sopra, e vorresti sprofondare sotto terra: ma più che distenderti sulla terra non puoi, e supino ne senti la vampa che t'investe come le braccia di mamma, e l'erba che ti vellica le guancie, e ti punge gli orecchi come per dirti di non soffocarla. Se per poco alzi il capo e torni a guardar la roccia di piombo, un altro sibilo ti spiffera accanto, e un altro e un altro ti si intrecciano intorno come una rete, che non si strappa se non quando sei morto o stai tutto inerte simile a un morto.


                                                                          ***

     Per un camminamento scavato in una vallata, saliamo. L'ultima lingua di terra che dal piano viene quì a morire, è rossa. Se uno cade, le ginocchia pare che sanguinino.

     Andiamo adagio, perchè siamo al sicuro. Solo uno shrapnel potrebbe colpirci. Ed infatti eccone uno scoppiare in aria, bianco e rosa come di bambagia. Tirano sui camminamenti. Hanno capito che è l'ora dell'avanzata.

     Affrettiamo il passo per ripararci nella trincea dalla quale dovremo muoverci per sempre, ma una voce dentro ci dice che sarebbe meglio esser colpiti qua, prima di varcare la soglia dell'inferno.

     La trincea corre, non scavata ma rilevata sulla roccia che non si può scavare, lungo il ciglio che declina dolcemente. La costa è a spina di pesce, e i sacchi pieni di terra, e le gabbie di rami di pioppo intrecciati, colme di sassi s'avvallano e montano lungo il costone che digrada fino a Monfalcone. Dove la roccia è stata. morsicchiata, dove per poco ha mostrato Il suo .ventre bruciato, biancheggiano le pietre taglienti, come le ossa dei cadaveri insepolti che il sole e l'acqua rodono giorno e notte. Il sole s'acchiara di minuto in minuto e gli ultimi filamenti della bruma mattinale si sciolgono in goccie che lucono sulle roccie e gli sterpi, come se un angelo a notte avesse pianto sulla miseria della nostra terra.

     Quali formiche nel formicaio, entriamo nella nostra trincea. Ampie fratture vi sono state praticate ogni cinque passi, per dove si dovrà uscire. I reticolati che noi abbiamo piantato per difesa simili a zampe di gallina arrugginite proiettano sulla pietra una rete d'ombra sottilissima.

     Guardo da una feritoia.

     Al di là della trincea la terra, il sole e l'aria hanno un altro colore. C'è un candore perfido come quello dell'acqua stagnante, e qua e là appare un ciuffo di spini verdi come se il fìato del fuoco li avesse strinati, e su ognuno ci sono due, tre goccie del pianto dell'alba. In questa terra che mi sta dinanzi nessun uomo ha mai posato il piede: tocca a noi, fra poco, passarci : e mi pare che il silenzio stia a guardia come una belva invisibile che ci piomberà addosso tutt'in una volta.

     Eppure tutto il sole ch'è nell'aria è  nell'anima mia.

     Essa dell'orrore che la circonda non vede che questa luce delicata, quasi prima di giungere a noi fosse stata filtrata da infiniti cieli. É cosi’ pallida e cosi’  profonda che pare l’ultimo respiro dei morti: essi sono cosi’ vicini a noi che non li possiamo dimenticare: «noi siamo dove voi sarete» - mi pare di aver letto sulle loro faccie immote, sui loro volti disìncarnati immersi nell acqua che non trabocca mai.

     La trincea nemica è quasi intatta. Il nostro bombardamento è durato tre giorni, ma dove hanno tirato? Un soldato con la voce candida e stupefatta viene a farmi notare che così non si può avanzare, che ci ammazzeranno tutti.

     "E vero!" - penso tra me. Ma a lui, sorridendo, dico che la trincea pare intatta, ma che nel rovescio è stata battuta e il nemico è stato parte ucciso e parte messo in fuga. Le mie parole pare che lo riconfortino.

     « Tu vorresti uccidere la morte col cannone » - penso tra me mentre lo vedo carponi riaccucciarsi tra i compagni e riconfortarli. «Certo tu hai ragione: tu sei uno di quelli che la morte se li prende col boccone ancora caldo nello stomaco, mentre state scrivendo alle case vostre che la guerra è dura, ma che il Signore v'ha conservata la vita; quando vi spogliano vi trovano un breve con la Madonna di Pompei appeso al collo, in  tasca la fotografia della sposa col figlio in braccio; il portaferiti, quando la vede, subito l’involge nel giornale, perchè non vedano il padre che è morto.»

     Il capitano ch'è vicino a me, mi dice che l'ora vera dell' avanzata è alle dieci e dicci. Guarda anche lui dalla feritoia, A bassa voce, gli dico quello che il soldato m'ha detto, quello che io stesso vedo, quello che dicono tutti: le trincee nemiche sono intatte.

     “Che ci vuoi fare?” - mi risponde e abbassa gli occhi. Poi arrossendo, come se le parole che sta per dirmi fossero troppo solenni aggiunge: «bisogna rassegnarsi» - e quasi pentito di aver detto troppo, sorride come per aggiungere « non ci badare: dopo tutto torneremo sani e salvi “.

     Tanto per far deviare il discorso, affinchè non tocchi il fondo della china per la quale s'è avviato, gli domando in che modo si farà l'avanzata.

     « Da Gorizia al mare - mi risponde, - alle dieci e dieci, ogni compagnia manderà avanti un plotone, il primo, che avanzerà finchè potrà. Poi a mano a mano il secondo, il terzo e il quarto. Ho già dato le istruzioni al sergente che comanda il primo; poi toccherà a te. Ma vedrai che tutto andrà bene “.

     Il silenzio ci riprende entrambi. Tutti e due sappiamo che cos'è la guerra, e che si torna sempre meno di quanti siamo partiti.

     Guardo ancora dalla feritoia per imprimermi  bene nella mente il terreno che dovrò percorrere con le mani e co' piedi.

     Ci sono molti sassi ma cosi’ piccoli che si possono mettere in tasca. Ciuffi di spini qua e là con la lagrima che luce. Non ci si potrà riparare in nessun posto. Bisognerà avanzare tanto da potersi riparare nella trincea nemica. I loro reticolati sono davanti alle loro trincee, sottili e con le spine come quelle delle rose; a vederli paiono tanto fragili, ma per passarci bisognerebbe essere mosche.

    Non ci voglio pensare, ma veggo chiararamente che cosa mi attende. Non è la prima volta, ma è la più chiara di tutte.

     Il primo plotone uscirà, sarà massacrato, Si aspetterà qualche minuto, poi toccherà a me: questo è tutto.

     Eppure una voce mi dice chiaramente e continuamente, senza che io riesca a soffocarla col pensiero della morte invisibile: « per salvarti ci vuole un miracolo e il miracolo ci sarà “.

      Questa parola miracolo è netta dentro di me; la sento distintamente in fondo all'anima; ma il miracolo è una somma diversa dalla somma delle poste che si vedono. Qui c'è dinanzi a me un terreno scoperto, un nemico che spara, ed io che devo avanzare: il risultato non può essere che la morte. E la voce, ancora più forte mi dice che il risultato sarà la vita. Penso che se anche fossi ferito leggermente, il fatto solo di essere allo scoperto, impedirà a chicchessia di riportarmi indietro; come potrò salvarmi? Ma l'anima sorride della mia ragione: è come se essa vedesse una luce che è entrata in lei senza passar traverso i miei occhi.

     Il capitano guarda dalla feritoia ancora una volta. Non un movimento, non un rumore nella trincea nemica: col suo silenzio, il nemico fortiflca negli ignari la supposizione che siano stati tutti uccisi. Ma i vecchi della guerra sanno che quanto meno il nemico fa rumore tanto più è forte e pronto.

     Essi sono già in agguato. Spareranno quando ci vedranno muovere: perehè dovrebbero tirare prima ? La loro artiglieria, per non smascherarsi tace: la nostra tace perché attende. E perciò c'è questo silenzio sovrumano, come se tutti già fossimo sotto lo sguardo della morte.

     Guardo ancora una volta i visi pallidi dei miei uomini accoccolati per terra, col tascapane a tracolla e il fucile ritto fra le ginocchia tenuto con tutt'e due le mani, come nelle processioni i contadini sorreggono lo stendardo altissimo, quando fanno la sosta in ginocchio guardando la terra.

     Rispondono al mio sguardo levando le pupille dolcemente con una interrogazione muta. Hanno lo sguardo vivo come se l'anima s’affacciasse intera dietro le pupille, simile a un acqua celeste che al primo tocco traboccherà.

     Ho ancora una volta l’impressione precisa .di quelli che certamente morranno : hanno il volto afIilato da una carezza che non sentono e un lucore in fondo agli occhi perchè già vedono quello che noi non vediamo. Da essi s'emana un aura pari a un alone, quasi che l'anima già cominciasse a diffondersi in aria. I loro gesti sono delicati e lenti, come se una nuova misura fosse entrata insensibilmente in loro; così estatici che si direbbero abbagliati.

     Sento da come mi guardano che io non sono il superiore: io sono il “protetto», quello che in tante occasioni non è morto, quando solo un miracolo poteva salvarlo. Mi scrutano per vedere quali sono le precauzioni che prendo. Ma io non posso far altro che accendere una sigaretta e fumare.

     Sento il peso oscuro del passato via via alleggerirsi come se se ne andasse col fumo. Mi pare di aver varcato un ponte che s’è dissipato.

     Non posso considerare la morte: la sua presenza ha abbagliato l'anima mia per non essere guardata. Sono in un'aria diversa da tutte le arie: mi pare che le mie ossa sotto questa luce si debbano vedere come quelle della mano contro il sole. Non posso nemmeno fare un esame di coscienza. Il passato è cosi’ lontano da me che mi pare la vita di un altro.Sono convinto, ora più che mai, che non c'è altro da fare nella vita che accettare la vita, cercando di fare il minor male possibile agli altri; ed è vano, e veramente peccato, pensare di poter muovere una foglia : tutto succede secondo disegni che noi non conosciamo, E se oggi viene la morte, è segno che deve venire, e non c'è nulla da fare se non rassegnarsi a questa legge che sta sopra di noi.

     Ma la voce candida e tranquilla, dal fondo delI'anima mi ripete che io non morrò. La morte è a due passi, ma non mi toccherà. Mi pare che la morte e la vita si contendano questo mio corpo: ma la lotta è invisibile e muta.

 

Continua

Nicola Moscardelli

Publié dans Livres

Pour être informé des derniers articles, inscrivez vous :
Commenter cet article
R
<br /> Brrr!da brivido...Buona giornata!<br />
Répondre
A
<br /> <br /> Ciao Ramu<br /> <br /> <br /> si' come tu dici, da brivido! Peccato che molta letteratura d'oggi sia tanto superficiale e standardizzata.<br /> <br /> <br /> Graie per le tue letture<br /> <br /> <br /> <br />