Vita Vivente di N. Moscardelli: allora mi ricordai... (4)

Publié le par antonio

 Soldati di Ofena morti in Guerra

  Per coloro che non hanno letto i passaggi precedenti qui sotto i link

Vita Vivente di N. Moscardelli : Allora mi ricordai.. (1)  

Vita Vivente di N. Moscardelli: allora mi ricordai... (2)

Vita Vivente di N. Moscardelli: allora mi ricordai... (3)

 

                                                          ***

     « Caporale, avvisate il Sergente ch'è l'ora » - questa voce mi scuote, ma non mi sorprende: è il capitano che manda ad avvisare il comandante del primo plotone. Io comando il secondo.

     « Sono le dieci e nove » - mi dice, mostrandomi l'orologio.

     Il porta ordini carponi s'avvia, e un brivido investe tutta la fila dei soldati accoccolati lungo la trincea come se si fosse spezzata la molla che li teneva immoti.

     Uno scalpiccio, un rotolar di sassi, un tintinnir di gibeme, un sussurrio tenue e pudico come quello dei passeri implumi sotto la gronda si leva dalla  trincea quant' è lunga.

     Mi muovo anch’io per dare le ultime raccomandazioni ai miei soldati. Carponi mi sposto. Li tocco ad uno ad uno con uno sguardo sorridente, e mi rispondono sorridendo, con uno sguardo più pesante del sorriso, che m'arriva fino all'anima.

     Giungo alla valletta dove la trincea discende, risalendo sull'altro versante. E vedo che a due passi dai soldati ci sono quattro o cinque cadaveri allineati, mangiati dal sole e dai vermi, coi panni arrugginiti appiccicati alle ossa come se avessero freddo.

    Li han lasciati marcire senza che un pugno di terra li coprisse: cosi i vivi di oggi vedono qual' è la fine dei vivi di ieri.

     Do le ultime disposizioni con voce tranquilla che non mi stupisce tanto mi pare che tutto accada come deve accadere.

     Torno indietro, ma prima d'esser giunto al posto dov'ero, un fuoco violento s'accende e si propaga per tutta la trincea nemica. La battaglia è incominciata, e l'aria improvvisamente si fa grande, entro la quale mi pare d'essere come una foglia portata dal turbine.

     Di corsa raggiungo il capitano. Vedo un soldato ergersi sul murello della trincea e scavalcarlo precipitandosi al di fuori, ed altri che lo seguono da ogni parte. L'artiglieria nostra comincia a tirare, e quella nemica risponde: sentiamo con una stretta al cuore che ci sono batterie nemiche che prima non c’erano che hanno taciuto finora per rivelarsi solo quando non c'è più tempo per difendersi.

     I soldati usciti si son gettati tutti a pancia a terra sotto i cavalli di Frisia che difendono la nostra trincea e non si muovono. Gli shrapnels scoppiano sulle loro teste, qualcuno alle nostre spalle.

     Ora capisco ancor più chiaramente che non c' è nulla da fare.

     Impossibile avanzare; e una volta usciti impossibile salvarsi. La morte è dietro questo muretto di sasso e di terra insaccata, e fra questo mondo e quell'altro non ci sono più di cinquanta centimetri di distanza.

     La fucileria per tutta la linea si spande, s'afforza, si spegne, riprende, come la fiamma sotto il vento.

     Il capitano guarda dalla feritoia. . « Non riesco a trovare il sergente» -. mi dice. Guardo anch io dalla feritoria : non vedo che tre o quattro soldati, cosi’ attaccati alla terra che paiono morti. Mi sposto di un passo a destra, in cerca di un' altra feritoia per vedere il sergente.

     Sono appena giunto a trovarla, che una granata partita da tanto vicino che non se n’è sentito lo scoppio, investe un cavallo di Frisia, squarciandolo e dilaniandolo, e tra il fumo basso che si dilata dalla terra sventrata, mi appare una figura di soldato: mi pare di riconoscerlo: è lui; rotolando viene a sbattere fino al muro della trincea, e gli vedo il fianco aperto, bollente di sangue come uno scudo infuocato. Un lagno sottile, più sottile del filo di bava che gli cola dalle labbra, s'alza dalla sua bocca. Un brivido di terrore scuote i soldati che l'hanno visto. Uno, lasciato il fucile, esce carponi, lo prende alla caviglia, lo trascina dentro.'

     É bianco come se non avesse più sangue; e il fianco è così sventrato che non si può fasciare in nessun modo.

     I portaferiti lo adagiano sulla barella ma lo guardano quasi sapessero che non arriverà fino all'ospedale.

     Vediamo la barella scomparire per il camminamento, traballare e sobbalzare.

     Il sole splende su tutto il piano: tutta la campagna respira largamente. Gli alberi spogli paiono scheletri alzati per veder la battaglia.

     Mi riaccosto al capitano. In me c'è un gran vuoto, come una zona vergine ove le ore prossime potranno scrivere quello che vorranno. Il passo mi si fa più leggero.

     Tutt'a un tratto il capitano si scuote, mi guarda e vedo che non ha voce per dirmi quello che comprendo. Ci guardiamo un attimo, con un silenzio simile a un velo che s'alza affinchè possiamo guardarci in faccia per l'ultima volta, prima che il velo si riabbassi su di noi e ciascuno si volga verso la sua ombra dalla. quale non sa se tornerà alla luce.

     “Tocca a te » - riesce finalmente ad articolare; e ci stringiamo la mano.

     Non appena i miei soldati mi vedono muovere capiscono. Non debbo dire ormai più nulla. Hanno il volto delicato e chiaro come se una maschera fosse caduta.

     Mi tocca andare avanti, e però non posso attardanmi a guardarli. Sono calmissimo, come se la vita e la morte che sono in gioco non mi appartenessero. So quel che perdo, morendo, ma la voce del miracolo non tace in me, e mi parla con una forza che mi sorregge e quasi mi solleva da terra.

     Mi dirigo sveltamente verso l'apertura della trincea, senza curarmi più di abbassare la testa: mezzo metro mi divide dallo spazio dove non c'è alcun riparo, e quest'ultima precauzione al di qua della morte mi pare ridicola.

     Scavalco il parapetto della trincea, do uno sguardo all'intorno per vedere i miei soldati, sento come se una rete intorno a me si lacerasse quasi tornassi alla luce dopo tanto tempo di tenebre.  Mi getto a terra: la fucileria rinforza: le pallottole fischiano vicinissime, e tutte mi paiono dirette contro di me.

     Col mento tocco la pietra tagliente: aderisco alla terra come un sasso: ai miei fianchi giacciono altri soldati cosi immobili che non si sa se sono morti o vivi. Ma debbo avanzare a tutti i costi. Ho l'impressione precisa che la guerra è una ruota dentata che bisogna spingere avanti a occhi chiusi.

     Mi levo di scatto, fo cenno con le braccia che bisogna avanzare. Mi slancio a corpo morto verso un varco aperto nel reticolato.

     Un colpo sordo e duro, pari a quello che deve provare il ciclista quando cozza contro la stanga del carretto fermo in mezzo alla strada, mi colpisce vicino alla tempia destra.

     Un pensiero come una freccia, mi passa in mente: « anch'io son morto! »

     Mi sento cadere all'indietro, debbo chiudere gli occhi per forza, non vedo più nulla.

     Immediatamente sento il mio corpo farsi leggero leggero, svanire, salire. E allora fuggevoli come lampi mi vengono alla mente questi pensieri:

     «Sono morto: salgo, salgo. Ma il nemico non lo sa, tirerà contro di me. No, questa è l’anima mia, il corpo è rimasto a terra ! Pensare che l'anima è immortale e gli uomini non lo sanno. Dio mio! A casa mia chissa come saranno in pensiero per me che sono morto, e invece io sto benissimo. E come posso fare per comunicare a loro che sto benissimo? L'immortalità dell'anima che cosa semplice, eppure non la posso comunicare ai vivi. Ma se non fossi morto? Ecco, se incontrerò qualcuno che so che è morto vuoI dire che anche io sono morto. Ma nessuno verrà. ad annunziarmi che sono morto. La vita continua sotto un'altra forma. Ma se potessi vedere! (Tento disperatamente di aprire gli occhi, di vedere; questa è la sola sofferenza). Dio mio, salgo sempre, a casa mia non sanno nulla: oh se li potessi avvisare che io sto benissimo, non soffro nulla; potessi almeno avvisare qualche vivo che l'anima è immortale. Salgo sempre, come sono leggero: questa è proprio l'anima mia.

     Tento disperatamente. di alzare le palpebre ma non ci riesco: questa è la sola sofferenza. (Se incontro qualcuno che è morto, vuol dire che sono morto anch'io). Cerco di ricordarmi le fattezze degli amici morti più di recente.»


                                                                        •••

     Con uno strappo di tutte le fibre, mi s’alzano le palpebre vedo accanto a me il mio attendente e il mio capitano.

     “ Non è nulla! Non è nulla! », mi gridano per fanni coraggio.

     Ho un grande dolore alla guancia destra, allo zigomo, non posso aprire la bocca, sento che mi s'è storta: l'occhio destro è oppresso, non posso più alzare la palpebra.

     Il mio attendente mi trascìna per un braccio, mentre il sangue mi cola per tutta la persona, verso il camminamento donde siamo saliti. Ma quando sta per mettere la benda alla ferita, mi guarda, e come se non reggesse più, scoppia in pianto. L'occhio destro è coperto dal gonfiore; il sangue martella contro la tempia come se volesse uscire: simile ad un uccello a cui s'è fatto balenare lo sportello della gabbia aperto per eccitarlo.

     Mi pare di esser stato calato in una fornace bollente da cui m'hanno tratto subito fuori. Tutto mi pare finito, quasi avessi visto il mondo di là, che m'ha lasciato uno stupore in fondo agli occhi come l'abbaglio d'una grande luce. Sento l'aria fluire intorno a me, simile a freschi lini agitati da un vento dolce; la vita scorre tranquilla come il sangue che mi cola dalla bocca senza rumore. Con calma prendo la boccetta con la tintura di jodio che ho in tasca, e me la verso tutta sulla ferita che riarde come se versassi olio sul fuoco : ma il dolore quasi mi aiuta a destarmi. Mi bendo alla meglio, con le mani che tremano non so perchè - (come se il vetro d'una bottiglia tremasse, mentre l'acqua sta ferma.) - mentre l'attendente singhiozza e vorrebbe parlare e non gli riesce. Gli fo cenno di non addolorarsi, e gli sorrido con la metà del viso: l'altra metà è arsa dal dolore come da una maschera di fuoco.

     Egli mi prende per il braccio, mi conduce per il cammìnamento. Non posso più camminare diritto: mi sento portato a sinistra, quasi che l'equilibrio mi mancasse.

    Alla fine del camminamento, una compagnia di soldati in ginocchio, col fucile poggiato sulla spalla, attende di salire. Mi guardano con gli occhi sbarrati. Perchè non m'invidiano ? lo vengo dalla morte, ed essi ci vanno.

     Mi sento ancora leggero; la leggerezza mi è restata nelle ossa, come l'aria nelle penne dell'uccello quando ha volato. Guardo le cose intorno a me quasi fossero troppe, queste cose che avrei potuto perdere cinque minuti fa, e mi pare che ognuna d'esse torni a me con un volto diverso.

     E la voce di prima tranquillamente, con un tono di dolcezza e di fede, mi ripete: “ vedi che il miracolo c'è stato ! ».

                                                               •••

     Disteso sulla paglia, sotto l'arco d'un ponte dove un medico fa le medicazioni, mentre il sole trabocca per tutti i campi, e i colori si svegliano, e la terra è solcata da infiniti sussurri che si cercano si confondono s'abbracciano si respingono ritornano e si respingono come bombi di api che non vedo; mentre i feriti si lagnano con una voce ch'esce dal petto grondande come una lama, mentre le granate sibilando solcano il cielo azzurro; mentre gli occhi mi cominciano a dolere ed un calore febbrile mi sale alle tempie, - socchiudo gli occhi, e vedo sulla proda di un campo, al di sopra della mia testa, un mandorlo senza una foglia, che distende le sue povere rame magre, e il cielo biancastro dietro le sue spalle che lo disegna come un' apparizione: e mi pare che questa sia l'immagine di tutti quelli che avanti a me combattono in questo momento, con la faccia sulla terra, purificati dai fuochi della battaglia così che quando torneranno saranno magri più del mandorlo, ma sul cielo si disegneranno puri come fiori.

     Lo guardo patire sulla desolata proda che non lo nutre più; rialzo le palpebre che mi pesano, per vederlo quanto più posso, - ma dall' oscurità del petto mi salgono alle pupille faville che m'accecano, sicchè non so più se ho gli occhi aperti o chiusi, se son desto o sogno: ma vedo il puro albero distaccarsi dalla terra con la leggerezza del vento, e salire scivolando sul cielo, come una costellazione mattutina all' ora in cui svaniscono le stelle.

 

fine di questo capitolo

 

PTDC0201

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